È la mattina del 6 gennaio 2023 quando gli occhi blu di Gianluca Vialli si chiudono per sempre. Un epilogo in qualche modo annunciato, allorché già da qualche settimana era ricoverato presso il Royal Mardsen Ospital di Londra, per l’aggravamento della recidiva tumorale al pancreas contro la quale stava combattendo già da 5 anni. Ma che non ha mancato di suscitare la sincera commozione non solo dell’intero mondo del calcio, ma di un’intera comunità che fino alla fine non ha mancato di incoraggiarlo nella sua disperata lotta contro “l’ospite indesiderato” – come lui stesso soleva chiamarlo – e che per tutto questo tempo ha continuato ad amarlo.
Classe ’64, durante una carriera da calciatore spesa soprattutto a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, Vialli era emerso come uno dei migliori attaccanti della sua generazione. Dopo l’esplosione nella sua Cremonese, arrivò la consacrazione alla Sampdoria, in tandem con l’altro “gemello del gol”, l’amico fraterno Roberto Mancini, con il quale condividerà otto anni memorabili: 328 presenze, 141 reti, 3 Coppe Italia, 2 Supercoppe Italiane, una Coppa delle Coppe e un clamoroso Scudetto, quello vinto nel 1991 ai danni del Napoli di Diego Armando Maradona. E un grande rimpianto, la Coppa dei Campioni persa nella finale di Wembley contro il Barcellona, in quella che sarebbe rimasta la sua ultima presenza con la casacca doriana.
Vialli, però, si sarebbe rifatto con gli interessi: passato alla Juventus, in bianconero avrebbe conquistato tutte le principali competizioni UEFA, inclusa – con al braccio la fascia da capitano – quella dalle Grandi Orecchie sfuggitagli durante la permanenza ligure. Un palmarès invidiabile, ulteriormente arricchito, durante la breve carriera da allenatore consumata quasi interamente al Chelsea, con una Coppa d’Inghilterra, una Coppa di Lega e una Supercoppa Europea. Con la casacca della nazionale non conoscerà uguali fortune: in 7 anni collezionerà 16 gol in 59 presenze, non andando oltre il deludente bronzo del mondiale casalingo del 1990.
Animo sensibile, carattere empatico e affabile, nel 2017 la diagnosi del cancro al pancreas. Fortemente voluto da Mancini come capo delegazione dell’Italia, è riconosciuto dal gruppo azzurro come elemento fondamentale nella vittoriosa kermesse di Euro 2020, quando “vendicherà” la sconfitta di Wembley di quasi trent’anni prima laureandosi campione continentale. Immancabile il cordoglio del mondo del pallone, già provato dai recenti addii a Pelé, Sinisa Mihajlovic e al giornalista Mario Sconcerti. In segno di lutto, ogni campo osserverà un minuto di silenzio.