Antonello Venditti, parafrasando un suo noto pezzo, avrebbe detto che certe storie non finiscono: fanno dei giri immensi e poi ritornano. E così, clamorosamente, a oltre settant’anni dalla fallimentare campagna di Russia, dove la Germania nazista di Hitler capì che stava per perdere la Seconda Guerra Mondiale, la storia si ripete. Lo fa in una maniera certamente più leggera, certo, e soltanto in termini sportivi. Ma per la nazionale teutonica, campione in carica, e reduce da quattro podi consecutivi nel torneo iridato, la sensazione di catastrofe probabilmente permarrà per molti anni ancora.
La Germania campione del mondo in carica, dicevamo: ma anche la Germania che, da Brasile 2014, e andando a ritroso fino alla manifestazione organizzata dal Giappone e della Corea del Sud nel 2002, aveva collezionato, oltre alla medaglia d’oro in terra sudamericana quattro anni fa, anche una medaglia d’argento ed altre due di bronzo. E proprio la Corea del Sud, la stessa Corea che ci condannò con la complicità del fu Byron Moreno, giustizia adesso un’altra delle grandissime della storia del calcio.
Aleggiava la cosiddetta maledizione mondiale sugli uomini di Loew: una sorta di macumba che, nelle ultime cinque edizioni, aveva colpito i vincitori del torneo precedente. Fuori la Francia nel Mondiale del 2002, dopo aver trionfato in casa nel 1998. Una sorte infausta toccata anche alla nostra Italia nel 2010, quando Cannavaro e compagni non riuscirono a difendere il titolo in Sudafrica. Allo stesso modo, destò perplessità il KO incassato dalla Spagna in Brasile, nel 2014, quando fu annichilita nella fase a gironi.
Stavolta, però, inevitabilmente, il tracollo tedesco desta ancor più clamore. Perché mai le aquile teutoniche, in diciannove partecipazioni, avevano chiuso la loro spedizione così anticipatamente. Perché mai ci si sarebbe aspettati che la Germania, inserita in un gruppo apparentemente abbordabile, sarebbe giunta all’ultimo posto, dietro persino alla formazione asiatica. Per la gioia del Messico e soprattutto della Svezia, che fa un altro sgambetto a una nazionale tetracampionessa: chapeau.